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Big data e l’ossessione di misurare tutto

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“I’m not yet ready to live in a world where everything is connected. I don’t want to see ads gleaned from information about my sleep patterns and what I’ve been cooking — and I’m not convinced all the companies betting on this future are motivated by my best interests”.

La citazione è tratta da quest’articolo di Timothy Stenovec sull’Huffington Post, che vi consiglio di leggere, se masticate un po’ di inglese

Tim parla dell’ossessione della convenience, della comodità, che è il grimaldello che viene usato per giustificare e favorire la nascita di un mondo che, concordo con lui, non sono sicuro sia davvero nel nostro interesse.

Uno degli scenari paradisiaci che vengono proposti, quando si inneggia all’Internet delle cose è questo:

ti svegli, e la casa sa già, grazie ai sensori nel materasso, come hai dormito. Sa anche che ieri sei tornato tardi (telecamere), e che stamattina devi guidare 50 chilometri fino all’aeroporto per prendere un volo intercontinentale (informazioni che ricava dal tuo smartphone, connesso con Google Now o applicazioni simili al database centrale che ti riguarda). Ecco quindi che, senza che tu faccia nulla, parte una musichetta energetica che si suppone debba “caricarti” per affrontare la giornata. Nel frattempo, una caffettiera da tre viene automaticamente selezionata dalla cucina connessa e messa sul gas“.

Comodo, no? Perché questo sia possibile, però, tutto deve essere monitorato, vagliato, soppesato. Per fornirti un servizio il più possibile efficiente, i tuoi gadget, e le aziende che li controllano, devono sapere tutto di te. E questo fa già abbastanza paura, dato che non si sa poi dove queste informazioni vadano a finire e come possano essere usate in maniera sottile per manipolarti o discriminarti.

Ma c’è anche un altro aspetto che, secondo me, fa ancora più paura, ed è legato alla filosofia di fondo su cui si basa quest’idea di ingegneria sociale. Che è in sostanza, l’eliminazione dell’imprevisto. Perché tutto “funzioni”, sia comodo, tutto deve scorrere in percorsi prestabiliti e prevedibili. Tutto deve essere “frictionless”, per usare un’espressione cara a Zuckerberg.

Dalle auto, che si regoleranno da sole, e comunicheranno l’una con l’altra per mantenere la giusta distanza e la giusta velocità e in cui al guidatore (per la sua sicurezza) non sarà più concesso fare nulla, ai posti di lavoro, in cui ogni deviazione dalla norma verrà vagliata e monitorata da un apposito badge (sono già in corso esperimenti negli Usa) – per il suo bene, si dice, e per ottimizzare il più possibile i rapporti fra colleghi, naturalmente.

Gli ascensori – anche questo si sta già testando – riconoscerenno automaticamente tutti quelli che debbono andare a un certo piano, e faranno una corsa solo per loro, eliminando il “rischio” di allungare la corsa, sprecare tempo, e causare magari l’incontro di due persone che finora non si erano mai viste. E del resto, che motivo avrebbero avuto per familiarizzare? Dai dati dei loro profili, conservati online, è evidente che non hanno argomenti in comune.

Persino l’amore, o meglio, l’innamoramento, questo folle sentimento che ecc ecc, non sarà più parte del reame dell’imprevisto: sensori in grado di captare battito cardiaco, salivazione e altro, ti faranno capire se il partner è interessato, e cosa prova per te.
Pensate che scherzi? Me l’ha detto, non molto tempo fa uno che non è proprio l’ultimo arrivato: Andreas Weigend, ex chief scientist at Amazon e adesso direttore del social data lab a Stanford, in un’intervista per Forbes.

Ma, voi direte, sarà sempre possibile “staccarsi” dalla Rete,  fare a meno dei sensori.  All’inizio, probabilmente sì. A rischio però di essere guardati in modo strano, e marginalizzati. Già oggi: quanti di voi possono fare a meno di Facebook? Io, da quando mi disattivo periodicamente, ho ricevuto diverse telefonate di persone preoccupate che mi fosse successo qualcosa, o che ce l’avessi con loro e le avessi in qualche modo rimosse. Poi, quando l’idea che il monitoraggio continuo è funzionale allo scorrimento di una società ben oliata – e chi vi si oppone è un peso – avrà preso piede, si potrà procedere a rendere obbligatorio il sottoporvisi.

Avete letto Il Cerchio di Dave Eggers? Se non lo avete ancora fatto, leggetelo.  È chiaramente una distopia portata all’estremo, ma non è poi così lontana da quello che potrebbe avvenire, e che in parte è avvenuto già.

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